La ricerca sulle trame, sul filo e sul segno, sulla disgregazione del segno nel momento in cui il pennello si scarica, mi ha fatto riflettere sull’esistenza di un asse portante invisibile, lungo il quale il segno, con i suoi pieni e i suoi vuoti, si sviluppa; una sorta di fattore magnetico (l’idea che sottostà al segno) che aggrega tutti i microelementi del segno stesso, consentendone la percezione.
Da qui si sviluppa il concetto di aggregazione:
un punto magnetico invisibile si muove nello spazio (tracciando quindi un segmento, un’asse) attirando a sé elementi, corpuscoli che lo rendono manifesto.
Tutto ciò che è vivibile, percepibile con tutti i sensi e con i livelli di coscienza conosciuti è tenuto insieme (attraverso l’aggregazione dei microelementi costitutivi di ogni realtà) dal magnetismo che ogni idea ha in sé.
Ogni cosa, ogni situazione, sostanzialmente tutto ciò che esiste è aggregazione.
Dove c’è aggregazione c’è magnetismo.
Un’idea ha bisogno di aggregare, di attrarre a sé, di vestirsi di tutti gli elementi per potersi manifestare: necessita di elementi mentali (un concetto che la spieghi), di elementi emotivi (che la rendano emotivamente toccante, coinvolgente), di elementi fisici (che la rendano percepibile, tangibile, vivibile nel mondo della materia, se questa è la sua destinazione).
Tutti questi elementi sono suoi corpi di espressione e, contemporaneamente, sono chiavi di accesso e modalità di approccio per coloro che sono portati ad accostarsi a quella idea, processo che espande ulteriormente l’aggregazione. L’idea esercita il suo potere magnetico non solo nel “procurarsi i corpi di manifestazione”, ma continua ad esercitarlo influenzando tutti coloro che sentono con essa delle affinità, attirando le loro particelle mentali, sensibili, emotive e fisiche.
Così l’aggregazione si espande.
Questa è la potenza del fattore magnetico originale.
Questo è il processo che amo rappresentare.


Supporto

La tela è lasciata grezza (parzialmente/spontaneamente stropicciata) per una scelta estetica e per una scelta formale; la trovo visivamente più adatta al tipo di lavoro che poi sviluppo e, anche a livello di significato, lo trovo più coerente perché, essendo lo stropicciato non artificioso (cioè non sistemato, non spianato), è più vicino al primordiale. Ciò si adatta meglio al concetto di aggregazione, che è veramente un concetto primordiale e base originale di ogni manifestazione.


Tecnica - Lavoro

Il lavoro è caratterizzato da due aspetti fondamentali: uno gestuale (una via di mezzo tra gestualità e caso, caos), l’altro più analitico (approfondimento ed evidenziazione di alcune zone prescelte del lavoro casuale e gestuale).
È quindi un’operazione che ha a che fare con l’ordine, con il caos e con la loro continua coesistenza.
L’aspetto gestuale è affidato a movimenti abbastanza contenuti: si tratta di una gestualità misurata, che pone in modo parzialmente casuale delle pennellate di colore, lungo una linea invisibile e preesistente.
L’aspetto analitico consiste nell’approfondimento, l’isolamento e la selezione di alcune parti della linea tracciata. In questa fase, il colore di ogni singola componente dell’aggregazione viene rinforzato o sfumato in modo graduale, a seconda della sua rilevanza.
Il lavoro esprime semplicità:
- sia tramite il colore [monocromatismo, (contrariamente, l’insieme dei lavori, il mondo che essi esprimono è policromo)],
- sia per mezzo della forma (la linea).
Quando i lavori appaiono più complessi (composizioni plurilineari), in effetti si tratta più che di una complessità, di un simultaneo emergere di più semplicità.


La Linea

La ricerca coglie l’istante immediatamente successivo a quello in cui il punto-fattore magnetico emerge in manifestazione. Caratterizzato da dinamismo e continua evoluzione esso si muove, in uno spazio mentale o psicologico, o fisico, tracciando una scia, rivelando il suo corpo: ecco perché, formalmente, la sua rappresentazione è UNA LINEA.
Ogni elemento della linea ha una funzione che le conferisce respiro, pulsazione, vita; elementi resi attraverso la sfumatura graduale del colore, oscillando fra momenti nei quali il colore sembra quasi sparire ed altri nei quali raggiunge il suo apice.
Il lavoro è monocromatico, perché desidero cogliere la prima manifestazione, la nota prevalente, la nota portante.
Il mondo dell’aggregazione è ovviamente multiforme, multicolore ed infinitamente vasto, ma mi interessa fermarmi, per ogni singolo lavoro, a questo aspetto estremamente elementare, primordiale, all’archetipo.

Ai lavori monolineari si affiancano lavori plurilineari, che rappresentano l’articolata manifestazione di un’idea; idee che per palesarsi necessitano di combinazioni simultanee di linee: schemi magnetici differenti che manifestano idee differenti.

L’ampliamento della percezione, l’espansione della visione o la sua concentrazione, sono aspetti importanti della ricerca:
ad una distanza molto ravvicinata, la linea è percepita come un insieme quasi informe di macchie, gradazioni di colore, intervalli di nero, pennellate… Mano a mano che la distanza aumenta essa si ricompone e assume un aspetto che si può riconoscere come “linea”.
Poiché una parte di essa è un’interpretazione o lettura parziale, il progressivo allontanarsene permette di percepire la totalità: la linea stessa.
Allo stesso modo, la sua totalità è elemento parziale nell’ambito di una composizione di due o più linee.


Il Nero

Non è negazione, ma contiene in sé il tutto inespresso, che non si evidenzia a noi, perché siamo dotati di strumenti di percezione inadeguati o non pronti, sia per ciò che riguarda lo sterminato mondo della materia, nella duplice direzione: micro e macro, che per le profondità della coscienza umana.
È l’infinitamente potenziale, l’inespresso che attende di potersi esplicitare.
Esprimo questo concetto rendendo vivo il nero attraverso dei microsegni, microtocchi trasparenti che, a seconda dell’incidenza della luce, sono più o meno vividi, conferendo vita allo stesso nero. È la costante mutazione del nero, il suo continuo cambiamento nel mostrarsi, a seconda degli infiniti punti di osservazione possibili.
Questo complesso è ciò che chiamo il “nero potenziale”.


L’Emergere dell’Aggregazione

La tela, (o superficie di qualsiasi tipo), grezza, vergine è l’inizio di tutto, “il prima di ogni cosa”. Questo è il livello al quale si allude là dove si parla di dittico, trittico e polittico.
Non si intende soltanto la superficie nella sua fisicità incontaminata. Nella sua misteriosità non si può neppure definire dimensione o luogo. È prima della rappresentazione, quindi prima del nero potenziale. Da lì l’impulso ha origine. È una emanazione, una espirazione, un soffio vitale che, quando giunge a manifestarsi nel nero potenziale, è puro magnetismo.
È il fattore aggregante che, a quello stadio, si può definire pre-corpo o non-corpo di un’idea.
È un processo che immagino ad un livello estremamente primordiale ed elementare. Lì il fattore aggregante o magnetico ha una determinata, precisa e specifica qualità, o vibrazione, o lunghezza d’onda, che colora le particelle di nero potenziale (i microtocchi trasparenti) sensibili al suo specifico tipo di attrazione, al suo specifico richiamo, lasciando le altre particelle, quelle che restano neutrali o trasparenti, sensibili ad altri tipi di vibrazione e attrazione.
In quel momento si crea il primo elemento di aggregazione, che viene visualizzato attraverso il colore.


Linee portanti, ossature, schemi lungo i quali si raccolgono
frammenti di caos, particelle di materia disorganizzata ma intelligente,
sensibili all’attrazione di un fattore magnetico aggregante,
che le attira a sé, sottraendole al caos e dando ad esse un senso,
un’organizzazione, un ordine.

Particelle di varia natura e vibrazione,
passando dal far parte del caos al far parte dell’ordine, concorrono
al graduale formarsi di una aggregazione.

La rappresentazione di questo processo avviene in una
deputata porzione di spazio, isolata dallo spazio ”infinitamente disponibile”,
circoscritta secondo numeri e proporzioni.


Il Caos meticolosamente rappresentato e l’Ordine

Caos meticolosamente rappresentato, nei suoi microelementi costitutivi, per scoprire l’ordine in esso celato.
E, al contrario, rappresentazione dell’ordine, constatando la sua caoticità.
La rappresentazione si sposta dal piano dell’ordine a quello del caos e viceversa, ad indicare come l’ordine, ogni ordine, sia o debba essere terreno di indagine e di instancabile approfondimento. E come il caos, ogni caos, sia e resti tale fino al momento in cui qualcosa interviene ad attirarlo nel suo opposto.

Nel grande caos vi sono microelementi che, per affinità, costituiscono un ordine latente.
Questi possono essere ancora chiamati elementi del caos perché, anche se in ognuno di essi già esiste una tendenza che li potrebbe separare dal caos indifferenziato, non hanno sufficiente forza e autodeterminazione da vincere la separatività loro imposta dal caos.
A violare la legge della non costruzione vigente nel caos interviene, emergendo nel nero potenziale, il fattore magnetico-aggregante, con la propria nota, con il proprio irresistibile richiamo. Da questo momento inizia, per ogni particella sensibile a quel richiamo, il “viaggio verso l’ordine”. Viaggio che termina solo quando la particella raggiunge il punto di attrazione. Con ciò tutte le particelle interessate al processo contribuiscono a creare la linea, l’ordine, anche se l’insieme delle loro corse crea un caos apparente nel caos reale.
Osservato, l’ordine della linea si rivela caotico, nonostante la sua compattezza risulti sufficientemente chiara rispetto al grande caos circostante.
Grande caos, ordine latente, l’aggregazione come ordine, il suo interno caotico…
e il punto magnetico-aggregante: grande fattore di moto e di trasformazione.


Dittico, Trittico, Polittico.

La tela è il luogo della rappresentazione.
L’idea si deposita lì; lì rappresenta se stessa.
La tela bianca, grezza, vergine è, simbolicamente, la non-rappresentazione, la chiara scelta di non rappresentare.
La non-rappresentazione tra due campi di rappresentazione è una scansione spazio-temporale: avviene , in quel punto e avviene , in quel momento; dividendo sia lo spazio precedente da quello successivo, che il tempo precedente da quello successivo.

In un dittico, trittico o polittico dipinto su un’unica tela è inequivocabile la scelta di far vincere, nelle zone del quadro in cui questo è stabilito, la non-rappresentazione.
Qui l’idea si astiene dal manifestarsi, rinuncia a rappresentarsi.

Ma, essendo tutto rappresentazione, (anche la tela non dipinta), diremo che quanto detto sopra è la rappresentazione della non rappresentazione, spiegando quest’ultima come il massimo azzeramento di ogni possibile intervento sulla tela vergine: la rinuncia consapevole all’azione pittorica.Nessun intervento, nessuno strumento si poserà su quelle zone, lasciandole simbolicamente libere da ogni nostro appesantimento. Nella nostra inazione, ci dichiariamo pronti e ricettiviad ogni segno proveniente da quel livello.

Una perfetta unità di intenti quindi fra l’idea, che non chiede di essere rappresentata e chi la rappresenta, o dovrebbe rappresentarla, che si astiene dal farlo.

Vuoto, sospensione, silenzio, salto coscienziale: uno spazio dalle infinite potenzialità.
È uno spazio a disposizione dell’osservatore, che può dilatarlo all’infinito o comprimerlo fino ad annullarlo; sostarvi o superarlo istantaneamente.
È uno spazio che potrebbe “toccare” la percezione: una parte di rappresentazione potrebbe essere letta in modo differente rispetto alla parte di rappresentazione precedente, dopo il “vuoto”e l’inazione della non-rappresentazione.


Nei dittici e trittici più recenti le parti di tela vergine vanno espandendosi come, nell’inazione, può accadere alle facoltà intuitive. Simbolicamente sono ricche di possibilità: in un trittico presente nella mostra alla Leo Galleries di Monza le due zone che separano i tre elementi del lavoro sono state sostituite da due finestre verticali dello spazio espositivo. L’opera è stata concepita in funzione e sui numeri di queste due grandi fonti di luce, due aperture che consentono alle peculiarità dell’esterno di entrare, ma esse sono anche potenzialità per chi dall’interno aspira all’“altro” dell’esterno.

Alla Galleria LIBA di Pontedera, invece, una lesena costituiva, in tutta la sua altezza, l’elemento unico divisorio comune ai tre dittici sovrapposti che compongono l’opera. In questo caso la parte di tela vergine dei tre dittici cedeva il posto al semipilastro, aggettante rispetto alla parete e all’opera, elemento insondabile, simbolo di sostegno, un cardine, un asse portante, collegamento fra alto e basso.

L’utilizzazione di elementi architettonici è importante, perché simbolicamente evoca una “Architettura Ideale”, nella quale il ciclo non si esaurisce nel trinomio “progettare - costruire - abitare”, nel quale l’architetto aggrega elementi progettuali atti a costruire un ambiente nel quale l’uomo possa vivere al meglio, ma prosegue vedendo l’uomo come architetto di se stesso, per “progettare - costruire - abitare” la propria ascesa.